Frutta, legumi e verdura, però, siano freschi. Il primaticcio, in generale, se non è malsano, à un gusto insipido ed il grave difetto di costar molto caro. Ciò che sorte dalla serra non à nè profumo, nè qualità nutritive. Il sole, la pioggia, il vento, il calor naturale, proprii a ciascuna stagione, infondono alla vegetazione sapore e vita. Zucc e melon, tutti frutti a sua stagion. Bando assoluto a tutto quello che incomincia a corrompersi, a ciò che chiamiamo passato. Quello che dobbiamo mangiare dev'essere assolutamente fresco, sano, puro. Cheche se ne dica, non sarebbero a raccomandarsi molto i legumi conservati nella latta, nè dal punto di vista gastronomico, nè da quello dell'igiene. Le radici, i legumi secchi procurano dei piatti migliori e più sani: il tutto sta nel sistema di applicarli e nel modo di ammanirli.
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Frutta, legumi e verdura, però, siano freschi. Il primaticcio, in generale, se non è malsano, à un gusto insipido ed il grave difetto di costar molto
Nel Museo di Firenze si trovano belle vesti e finissimi fazzoletti ricamati, fatti di fibre di ananas. Fu Colombo il primo a portarlo in Europa, ma non vi venne col tirato che nella seconda metà del secolo scorso. Il frutto che matura nelle nostre serre, non raggiunge mai la bontà di quelli coltivati in America. Fu chiamato il Re dei frutti ed è creduto il più saporito dei frutti della terra. Compare solamente alla mensa dei ricchi. Non è troppo digeribile, dicono, conviene sputarne fuori la parte stopposa, è utile accompagnarlo con vino generoso o liquori. Dall'America, ne arriva una confezione molto stimata. Dà il sapore a vari liquori e rosoli. Se ne fa sciroppo delizioso.
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confezione molto stimata. Dà il sapore a vari liquori e rosoli. Se ne fa sciroppo delizioso.
L'Anice stellato (lllicum anisatum). — Franc.: Badiane. — Ted.: Badian. — Ingl.: Aniseed-Tree, detto anche dal Redi Finocchio della China, è originario del Giappone ed à le stesse proprietà dell'altro. I semi mediante pressione danno un olio fitto, molto odoroso, e colla distillazione somministrano una preziosissima essenza, nota sotto il nome di essenza di Badiana, simile nei caratteri chimici e negli effetti terapeutici, alle essenze più attive delle ombrellifere nostrali. Infusi nell'acqua e fermentati, se ne ottiene un liquore spiritoso, usato dagli Olandesi nella confezione di vari liquori. Sotto il medesimo nome fu conosciuto dai Greci e dai Latini. Pittagora lo pone fra i migliori condimenti tanto crudo che cotto.
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originario del Giappone ed à le stesse proprietà dell'altro. I semi mediante pressione danno un olio fitto, molto odoroso, e colla distillazione somministrano
Fra i lodatori dell'arancio è da ricordarsi il milanese Lodovico Settala, professore di medicina a Pavia, poi di filosofia morale a Milano, citato nei Promessi Sposi e del quale il Ripamonti, suo contemporaneo, dice che curava gratuitamente i poveri ed i letterati -pauperes et litteratos. Gli antichi scrittori confusero sempre l'arancio col limone e col cedro. In Roma, nel 1500, si chiamavano Melangoli. L'Ariosto nel Furioso, C. XVIII, p. 138, adopera la parola Narancio. Sulla prima vera provenienza dell'arancio ebbero molto seriamente a questionare i filosofi antichi. Alcuni, stando col re Giuba — che lasciò dei commentarii sulle cose di Libia — dicono che l'arancio, chiamato Pomo delle Esperidi, fosse portato in Grecia nientemeno che da Ercole. Difatti abbiamo statue di Ercole presso piante d'arancio e con aranci in mano. Ateneo col filosofo Teofrasto, lo fanno venire dalla Persia; il poeta Marrone, dalle Indie. Il fatto è che fu conosciuto in Europa prima del limone, e che la sua venuta rimonta a data antichissima. A coloro che dicono essere stato portato in Italia alla fine del secolo XIII da viaggiatori veneziani e genovesi, farò notare che Virgilio dice:
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, adopera la parola Narancio. Sulla prima vera provenienza dell'arancio ebbero molto seriamente a questionare i filosofi antichi. Alcuni, stando col re
Erasmo, ci tramanda che Augusto ne era ghiottissimo, e pare che anche il cuoco di Giulio Cesare glieli apprestasse non molto stracotti, perch'egli ad esprimere la velocità d'alcun che, soleva
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Erasmo, ci tramanda che Augusto ne era ghiottissimo, e pare che anche il cuoco di Giulio Cesare glieli apprestasse non molto stracotti, perch'egli ad
In Inghilterra se ne fa una specie di conserva rinfrescante. I fiori della borragine si possono adoperare per tingere l'aceto in turchino. Sono molto amati dalle api.
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In Inghilterra se ne fa una specie di conserva rinfrescante. I fiori della borragine si possono adoperare per tingere l'aceto in turchino. Sono molto
II Broccolo è della famiglia numerosa dei cavoli. Si seminano da aprile fino a giugno in luna vecchia. Il seme à durata germinativa fino a 6 anni. Vuole terreno lavorato e concimato, si trapianta ingrassato nuovamente in settembre ed ottobre. Bisogna guardarlo dal gelo. È cibo molto saporito, benchè per taluni molto indigesto. Si mangia cotto in insalata o al burro, oppure con salsa au gratin, con cacio parmigiano. È companatico del tempo quaresimale. Varietà: il Cavol-fìore (botrytis) e il Cavol-rapa (gongyloides). Il broccolo si distingue dal cavol-fiore per le foglie più verdi e perchè porta bottoni più sviluppati, distanti e separati da foglioline. Del broccolo e del cavol-fiore se ne mangia il fiore ancora immaturo, e del cavolrapa se ne mangia la radice. I migliori vengono in Romagna, Sicilia e Malta, da noi celebri quelli di Tremezzina sul Lago di Como. Dei broccoli in particolare, la storia non ci tramanda nulla, e tutti li confondono coi cavoli. Ecco due maniere di mangiare i broccoli o cavoli-fiori: 1.° In salsa bianca. Fate cuocere i broccoli nell'acqua salata con un pizzico di farina, e lasciateli sgocciolare; disponeteli ancor caldi su di un piatto e versatevi sopra la salsa seguente: Fate fondere in una casseruola tanto come un ovo di burro con sale e pepe, aggiungendovi un cucchiaio di farina, e poco per volta, rimestando sempre, un bicchiere di acqua bollente. Cotta la farina, ritirate la salsa dal fuoco e legatela con un tuorlo d' uovo sbattuto prima con un filo di aceto, oppure con una noce di burro, senza più rimettere la salsa al fuoco. — 2.° In insalata. Bolliti nell'acqua salata e sgocciolati i broccoli e asciugati con una salvietta, disponeteli in un'insalatiera. Preparate a parte la salsa di olio, aceto, capperi, due o tre acciughe e prezzemolo triti, versatela sui broccoli. — Da noi corre questo detto:
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. Vuole terreno lavorato e concimato, si trapianta ingrassato nuovamente in settembre ed ottobre. Bisogna guardarlo dal gelo. È cibo molto saporito
Il caffè agisce sul cervello, eccita piacevolmente i nervi, rende più attiva la mente, più squisita la sensibilità, feconda la fantasia e combatte il sonno. Il caffè Gon favorisce la digestione se non per questo che è caldo. Il caffè non fa mai male, anche il suo abuso non arreca gravi danni. Voltaire e Buffon ne bevevano molto. L'insonnia prodotta dal caffè non è penosa — percezioni luminose, e nessuna voglia di dormire, ecco tutto. Il caffè oltre il regalare del suo squisito aroma, liquori, confetture, paste, dà una bevanda allegra, deliziosa, ghiotta. Napoleone, che era quel che era, à detto del caffè:
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. Voltaire e Buffon ne bevevano molto. L'insonnia prodotta dal caffè non è penosa — percezioni luminose, e nessuna voglia di dormire, ecco tutto. Il caffè
il suo nome da Bresic, cavolo. È la pianta erbacea, annuale indigena che tutti conoscono. Vuole terreno lavorato, esposto, teme più il caldo che il freddo. Nel linguaggio delle piante: Cecità. Ve ne sono tante varietà, di precoci e di tardive. Le precoci si seminano in febbraio e marzo per averli nella state, le tardive in aprile e maggio, si trapiantano in agosto, si raccolgono in autunno e nel verno; a salvare i cavoli dal bruco (gattine) circondarli da striscie di fusti di canapa. i semi del cavolo mantengono la loro virtù germinatrice per 6 e più anni. La varietà del Gambùs (forse dal francese Choux Cabus) Brassica oleacera capitata, è meno saporita. Anche del Gambùs molte varietà. È distinto quello detto Cavolo Cappuccio di Schweinfurth a testa enorme, a fusto cortissimo — merita d'essere introdotto da noi per la sua straordinaria grossezza, precocità e certa squisitezza. Non è a metter da parte quello di Bruxelles a getti e a mille teste, che à fusto elevato, intorno al quale sporgono tante verzette, ricercate per delicatezza di gusto in minestra, o per guarnizione. In Lombardia il paesello di Verzago, ripete il suo nome dalle verze che vi abbondavano saporite e rigogliose. Molto stimati in Francia i choux de Milan (B. ol. Bullata). Il cavolo si mangia in cento maniere — nelle minestre — nelle zuppe — in insalata — si mette negli intingoli — serve ad accompagnare i salsicciotti — a far polpette — si condisce come gli spinacci all'olio, al burro aggiungetevi delle bacche di ginepro — se ne fa la così detta versata. Il cavolo è più saporito quando à sentito i primi freddi. Non si deve tagliare col coltello, ma strappare le foglie colle mani, perchè il ferro gli toglie sapore e comunica cattive qualità. Troppo cotto è tenuto come indigesto e flattulento. Ama molto il burro e specialmente il lardo, va d'accordo colla carne di porco. Iacopo Albertazzi vuole che i cavoli si conservino meglio e più saporiti a seppellirli nella terra coll'occhio e le foglie rivolte all'ingiù e le radici all'insù (lib. III, 54). Da solo il cavolo vale niente, onde il proverbio: El var un càvol, una sverza, per dire che vale nulla. I cavoli crudi servono alla preparazione di quelli erbacei fermentati che si conservano e si mangiano chiamati SauerKraut (erba acida) cibo prediletto dei Tedeschi e del quale Marziale:
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. Molto stimati in Francia i choux de Milan (B. ol. Bullata). Il cavolo si mangia in cento maniere — nelle minestre — nelle zuppe — in insalata — si
Crispino, medico valentissimo, scrisse un volume sulle virtù del cavolo, accomodandolo per medicina ad ogni infermità. In alcune città della Grecia il cavolo era in venerazione, perciò giuravasi sulla testa del cavolo. La più celebrata specie presso i Greci ed i Romani, era la verza nostra, detta appiana, benchè fossero conosciute e coltivate anche le altre specie. Nel bon tempo antico, i cavoli erano un contraveleno ai funghi velenosi, cotti con pepe davano molto latte alle balie e molta voce ai cantanti, il loro seme nel brodo di carne era un toccasana per tisici. Il cavolo, come le minestra dei nostri nonni, faceva diventar alti i ragazzi e la scuola di Salerno dice:
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con pepe davano molto latte alle balie e molta voce ai cantanti, il loro seme nel brodo di carne era un toccasana per tisici. Il cavolo, come le
Da noi scarsamente si coltiva perchè cibo piuttosto grossolano. È comune invece nella Siria, nell'Egitto ed in altre regioni orientali. Nel linguaggio delle piante: Sei villano. — Ve ne sono due varietà: la bianca e la oscura, migliore quest'ultima. È coltivato pure in Spagna, dove entra come primario ingrediente nella loro olla potrida e lo chiamano garavança, e dove viene d' una grossezza e bellezza rimarchevole. Sono i ceci fra i legumi più difficili a cocersi, e però si devono mettere in bagno d'acqua la sera prima e farli cocere molto, con acqua piovana, e se con quella di pozzo, mettervi della cenere, saranno più teneri e coseranno più presto. Da noi si mangia tradizionalmente colla carne porcina il dì dei morti, costumanza che risale agli antichi Romani, in memoria del ratto delle Sabine. Nel genovesato, colla farina di cece mescolata ad olio, sale ed acqua, se ne fa tortellacci, ed un'altra pasta, detta panizze, che si frigge o si mette in stufato. Il cece è menzionato dalla Bibbia al libro dei Re — e racconta che quando Davide giunse agli accampamenti di Galaad, venne offerto a lui e al suo seguito, tra le altre cose, frixum cicer. — Galeno ne parla come di cibo rusticano. I Mauritani ne andavano ghiottissimi. Dioscoride assicura che il cece dà bel colore alla faccia. Gli antichi ponevano questo legume a segno d'incorruttibilità. I Persiani ne usano anche oggi come rinfrescativo. Vogliono che contenga molto acido ossalico e sia eccellente contro i calcoli, una volta almeno aveva tale virtù con quella di rafforzare la voce, fra i vari legumi che si usano per adulterare il caffè. Il cece è forse quello che meglio degli altri gli si avvicina, per cui in Francia lo chiamano cafè français, il quale caffè, invece da noi, si chiama semplicemente broeud de scisger.
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difficili a cocersi, e però si devono mettere in bagno d'acqua la sera prima e farli cocere molto, con acqua piovana, e se con quella di pozzo
Questa pianta aromatica gode fama medicinale. Facilita le funzioni digerenti, è antitisica e antierpetica. Secondo Biett giova nelle malattie di fegato, e secondo Beval in quelle degli occhi. Plinio ci assicura che i semi del cerfoglio erano molto in uso ad Atene — ed il commediografo Aristofane fece ridere, tutta la platea ed il lobbione, accusando la madre di Euripide, che a quanto pare era un'ortolana, di scamottare altre erbe col cerfoglio. Dovrebbe essere odiato dai professori perchè è una delle ghiottonerie degli asini.
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fegato, e secondo Beval in quelle degli occhi. Plinio ci assicura che i semi del cerfoglio erano molto in uso ad Atene — ed il commediografo Aristofane
seme darà 10 anni. Si educano pure nelle cantine per averne foglie più bianche, o rosse e più tenere. La selvatica, detta da nei zuccoria selvadega (intybus), è la leontodon (dal greco leon, leone, e odùs, dente). — In franc.: Pissenlit, ted.: Lövenzahan; ingl.: Dandelion; spagn.: Diente de leon — cresce nei luoghi umidi sabbiosi, e viene adoperata al principio della primavera come insalata, è amarissima. Della cicoria si mangiano tanto le foglie che la radice; è più digeribile quanto più tenera. Da noi si ciba cruda, ma in Francia si fanno molti piatti caldi. Si può metterla nelle zuppe e minestre e usarla generalmente quando è scottata nell'acqua bollente come gli spinacci. La cicoria fu detta dai latini ambuleja, dagli egizi cicorium, e dai greci hedynois. I Magi, popolo del Caucaso, per la grande sua utilità la chiamarono chreston e pancration. Galeno l'odiava e Virgilio la trovava molto amara. —
. Può essere che da Ceresunto, dove, a detta degli scrittori il ciliegio era superlativo, avesse il suo nome. Ma che il ciliegio ce l'abbia portato Lucullo è una delle tante bale romane. Un certo Difilo Sifnio, ricordato da Ateneo, che viveva molto prima di Lucullo, sotto il regno di Lisimaco, uno dei generali di Alessandro il Macedone, parlava già delle ciliege della Campania coll'acquolina in bocca. Nelle torbiere di Dax, nelle Lande, si riconosce perfettamente il tronco del ciliegio. Chi ne volesse sapere di più, legga la Cersalogia medica (Basilea, 1717), monografia scritta dal celebre Dollfuss.
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Lucullo è una delle tante bale romane. Un certo Difilo Sifnio, ricordato da Ateneo, che viveva molto prima di Lucullo, sotto il regno di Lisimaco, uno
Il Crescione è erba indigena dell'Europa, che fiorisce da maggio a luglio (fiorellini bianchi) in luoghi per lo più umidi, lungo i ruscelli, i fiumi, le roccie. Ama l'esposizione del nord e si risemina da sè. Nel linguaggio dei fiori: Piangere. I semi durano fino a 5 anni. Fornisce una saporita e sana insalata; per alcuni è però indigesta; meglio mescolarla alla cicoria. La si coce anche per zuppa e minestra, ma cotta perde molto della sua virtù. I rami fioriti, principalmente le foglie ànno sapore acre amarognolo che rammenta il ramolaccio, e sfregate mandano un odore forte, penetrante. È eminentemente antiscorbutica, e giova nelle affezioni miasmatiche o catarrose, nel reumatismo cronicopratico. Contiene poca materia nutritiva, eccita l'appetito ed al dire del Comi, è un rimedio per l'emeralopia ossia lesione della vista, che consiste nel non poter distinguere gli oggetti che quando sono illuminati dal sole. Il succo serve pure a togliere la xerasia altro nome difficile, che significa secchezza dei capelli. I francesi ne fanno guarnizione all'arrosto, e conserve, elisiri, ecc. In Romagna si chiama canei. Scaligero, alla vista del crescione, pativa le convulsioni.
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sana insalata; per alcuni è però indigesta; meglio mescolarla alla cicoria. La si coce anche per zuppa e minestra, ma cotta perde molto della sua virtù
Artemisia da artemos, sano, per le sue qualità medicinali. Arboscello indigeno. Vuolsi originario della Siberia, è perenne, ma ogni due o tre anni bisogna cambiarlo di posto, altrimenti intristisce e muore. À fiori piccolissimi e si propaga separandone le radici. Nel linguaggio dei fiori: Basto a me. Le foglie e l'estremità tenere dei rami si mischiano all'insalata e principalmente alla lattuga. Essendo molto aromatico e piccante dà pure sapore alle carni. Col dragone si aromatizza l'aceto, al quale comunica un grato sapore. Il dragone è sempre stato considerato un sano e gratissimo profumo culinario. Dioscoride ne parla e i Greci ne ornavano i loro orti. Eccita l'appetito, dissipa le flattulenze e provoca la salivazione.
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me. Le foglie e l'estremità tenere dei rami si mischiano all'insalata e principalmente alla lattuga. Essendo molto aromatico e piccante dà pure sapore
. Cap. 7. I fichi presso i Romani erano impiegati a provocare lo sviluppo del fegato nei volatili. Fra i piatti, che Orazio numera, nella Satira del Banchetto, figura il fegato di un'oca bianca, nutrita da molto tempo con fichi grassi. Pierius sosteneva che il nettare, l'ambrosia degli Dei, era il sugo del fico. Ippocrate nel libro 2 De Dieta, dice:
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Banchetto, figura il fegato di un'oca bianca, nutrita da molto tempo con fichi grassi. Pierius sosteneva che il nettare, l'ambrosia degli Dei, era il
Pianticella erbacea perenne, indigena, originaria delle Indie. Vuole terreno sciolto, fresco, concimato con materie vegetali, preferisce esposizione non molto soleggiata. Si moltiplica per rampolli. Se ne conoscono nove varietà. Quella coltivata da noi è la bifera, spontanea dei nostri boschi e monti. Il suo nome, dal vecchio verbo fragare (
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non molto soleggiata. Si moltiplica per rampolli. Se ne conoscono nove varietà. Quella coltivata da noi è la bifera, spontanea dei nostri boschi e
s. E l'altro contro chi promette molto e mantiene nulla: Verba pro farina. E i nostri: La farina del diavol la và in crusca. — L'è tutta farina de fa gnocc, per dire che è tutta la medesima cosa — L'è minga farina del so sacch, ecc.
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s. E l'altro contro chi promette molto e mantiene nulla: Verba pro farina. E i nostri: La farina del diavol la và in crusca. — L'è tutta farina de fa
Non acquistate mai funghi secchi sulla piazza, nè dal droghiere. Non mangiate funghi alle osterie, alberghi, principalmente di campagna. Se la vostra golaccia vi à pigliato nel trabocchetto e avete mangiato funghi velenosi, eccovi la ricetta del Mantegazza. Prima di tutto, sappiate che il più delle volte i sintomi dell'avvelenamento compaiono molto tardi, magari sette od otto ore dopo il delitto. Appena v'accorgete, vomitate, cercate liberarvi subito delle materie velenose col vomito e col secesso. Cacciatevi due dita in bocca, la barba di una penna, acqua tepida molta, e se non vi riesce, solfato di rame o di zinco: mezzo grammo in 100 grammi di acqua comune, a cucchiai ogni cinque minuti, purganti forti. Calmate i dolori con cataplasmi sul ventre, e se vi coglie stupefazione, cognac, rhum e frizioni secche ed aromatiche. Non prendete mai latte, compireste l'opera del veleno.
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volte i sintomi dell'avvelenamento compaiono molto tardi, magari sette od otto ore dopo il delitto. Appena v'accorgete, vomitate, cercate liberarvi
Che che ne sia, il fungo dà un piatto molto saporito e ghiotto. Si frigge, si trifola, si unisce a mille intingoli, copre delle sue ali il risotto, regna sovrano nella polenta. È indigesto mangiandone in quantità ma à virtù stomatiche e corroboranti, dovute agli aromi dei quali è ricco. Si conserva pure per l'inverno io speciale salamoia o concia, e secco. Sono più sani e saporiti in generale i piccoli, rigettate quelli che sono coriacei. Gli antichi credevano fosse il prodotto del tuono e del fulmine, per cui lo addimandavano calabates. Anche loro furono sempre ghiotti dei funghi. Seneca scrisse: sono ghiotta cosa i funghi, e li chiamava: voluttuoso veleno. Chi avesse potuto far capolino nel tablinum dei Romani, vi avrebbe veduto i loro senatori mondare, essi medesimi, i funghi con un coltellino a manico d'ambra, perchè, i ghiottoni, ne volevano sentire anticipatamente col loro naso senatoriale, gli effluvi del primo profumo. È ben vero che anche allora la razza dei funghi assassini faceva la pelle a molti, per cui avevano il proverbio:
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Che che ne sia, il fungo dà un piatto molto saporito e ghiotto. Si frigge, si trifola, si unisce a mille intingoli, copre delle sue ali il risotto
NB. Gli ovoli (Agaricus Caesareus) da noi detti Cocch — sono ghiottissimi crudi, tagliati assai finamente e cospersi di pepe ed olio. Nell'olio, aromatizzato con foglie di lauro, si conservano molto tempo in fette sottilissime, ed accompagnano gradevolmente i lessi.
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, aromatizzato con foglie di lauro, si conservano molto tempo in fette sottilissime, ed accompagnano gradevolmente i lessi.
Ricetta della Maintenon. — Sfettate i funghi molto sottilmente, metteteli in un piatto che vadi al foco, spolverateli di pepe, aggiungete olio d'oliva, quando sono caldi, copriteli di tartufi sfettati, lasciate qualche momento sotto coperto, perchè vi si sviluppi l'aroma di questi e servite.
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Ricetta della Maintenon. — Sfettate i funghi molto sottilmente, metteteli in un piatto che vadi al foco, spolverateli di pepe, aggiungete olio d
Pianticella annuale originaria della Mesopotamia, che dà il noto legume coltivato molto in Francia e nel Vallese. Vuol terreno sciolto, asciutto, non molto grasso.
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Pianticella annuale originaria della Mesopotamia, che dà il noto legume coltivato molto in Francia e nel Vallese. Vuol terreno sciolto, asciutto, non
Si semina in primavera e si colgono i frutti appena maturi perchè non cadano. Nel linguaggio delle piante: Sapienza. Il valore germinativo giunge ai 4 anni. Due varietà principali: la gialla e la rossiccia, questa più saporita. Si conservano per l'inverno in luogo asciutto e prima di usarne, si lasciano macerare in acqua onde si gonfino e diventino tenere. Se ne fa farina ed è molto leggera e buona pei malati. Le lenti si mangiano in minestra, come i fagioli, si mettono cotte negli umidi, accompagnano i salami cotti, specialmente quello di fegato, la mortadella. Se ne fa puree e flan di sapore delizioso. Al tempo antico dovevano essere molto più saporite d'adesso. Esaù le rese celebri cedendo per un piatto di esse la sua primogenitura. Sono di un uso molto antico e generale. Ovidio dà la palma a quelle di Pelusio in Egitto. Ateneo dà il menu d' una cena; con queste parole: mangiammo un piatto di lenti, poi ne venne un altro, poi ce ne servirono di nuovo ben condite in aceto. Allora si servivano le lenti come oggi si fa della patata in Svizzera. Difìlo comico, fa dire ad un suo personaggio: la tavola era pulitamente disposta, noi avevamo ciascuno un piatto ben colmo di lenti. Zenone, il fondatore della setta stoica, dice: essere uno dei caratteri del saggio quello di saper condire bene le lenti. Ecco il suo dogma:
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lasciano macerare in acqua onde si gonfino e diventino tenere. Se ne fa farina ed è molto leggera e buona pei malati. Le lenti si mangiano in minestra
11 lino è una pianticella annua indigena venuta a noi dall'Egitto. Ve ne sono 19 varietà. Un etimologo tedesco (oh, gli etimologi!), vuole che il suo nome venga dal celtico lein, un uccello che si pasce dei semi del lino, che dev'essere il passero. Col quale sistema di etimologia, si può spiegare benissimo anche che la parola osso viene da cane, essendo i cani che mangiano le ossa. Pare invece che venga da lis linon e linteum, dall'uso più comune che si fa della pianta, o dal latino Unire, ungere, fregare, il che indurrebbe a credere l'uso antichissimo dell'olio di lino. Il tessere il lino è antichissimo. Omero riferisce che nella guerra trojana molti avevano corazze di lino. Lo filavano perfino le regine, esempio Berta. II seme di lino, riposato fino a 7 ed 8 anni, acquista in qualità arrivando a dare un prodotto comparabile a quello di Riga. I Russi ànno un processo per essiccare nel forno il grano destinato alla semente. Plinio parla di un lino incombustibile, ma evidentemente intende d'un tessuto d'amianto conosciuto già dagli Indi e dagli Egizi. Il lino si coltiva in grande nel Belgio, nell'Olanda, nella Germania, in Irlanda sulle rive del Baltico e nei dipartimenti francesi del Nord. Celebre quello di Riga in Russia, pregiato quello dell'Egitto e del Canada. Da noi si coltiva nelle provincie di Pavia, Lodi, Crema, Piacenza e nella Lomellina. Il lino ci accarezza il corpo di giorno e di notte, ci serve democraticamente in cucina e fa brillare nella sua candidezza i calici aristocratici dello Champagne e del Johannisberg. Ma qui ne parlo solo per riguardo al suo olio. Il seme del lino dà un olio, da noi chiamato di linosa, che non piace a tutti, che non à i pregi di quello di oliva (che à dato il nome all'olio, perchè olio viene da oliva, olea, ma che però, quando è fresco, e molto fresco, e fatto a freddo, è saporito e assai gustoso nella maggior parte delle insalate. Specialmente nell'alta Lombardia è molto usato ed è assai sano. Dal seme del lino se ne cava farina, ma per quanto si sia tentato anche dagli antichi di farne pane o di servirsene per nutrimento, fu sempre rifiutata, ingenerandone l'uso malattie ed anche la morte. Di essa se ne serve felicemente la medicina per cataplasmi, emollienti, ecc.
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è fresco, e molto fresco, e fatto a freddo, è saporito e assai gustoso nella maggior parte delle insalate. Specialmente nell'alta Lombardia è molto
Il luppolo è una pianticella indigena arrampicante, le cui radici sono perenni, ma gli steli annuali. Nel linguaggio dei fiori: Ingiustizia. Fiorisce in giugno e luglio, trovasi nei luoghi umidi e boschivi. I semi ànno virtù, germinanti per 2 anni. Il suo nome dal latino humus, terra umidiccia. Coltivata, dura dai 20 ai 40 anni e più. I giovani getti si mangiano precisamente come gli asparagi, tanto conditi che in minestra, sono tenerissimi e di gradevole gusto. È verdura che si trova in maggio presso le ortolane e che in Lombardia si chiamano Lovertìs. Questa pianta è molto coltivata in Germania, il cui fiore, o cono, serve quale principale ingrediente della birra, uso conosciuto fino dagli antichi Egizi. Il luppolo è anche pianta eminentemente medicinale, se ne fanno decotti, infusi, ecc. Il luppolo è utile per chi soffre d'inappetenza, e condito con salsa è cibo gradito dai convalescenti. Si volle dare al luppolo virtù soporifera, analoga a quella dell'oppio, ma pare una delle tante cantonate degli scienziati. Da esso abbiamo il lupolino. Nella Svezia si usano i suoi rami lunghi e flessibili quale materia tessile per grossi cordami.
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gradevole gusto. È verdura che si trova in maggio presso le ortolane e che in Lombardia si chiamano Lovertìs. Questa pianta è molto coltivata in
. Le màndorle migliori sono quelle di Spagna. Le dolci contengono molto olio fisso, 55 0[0, ed un principio di emulsina molto carico di azoto. La medicina ne prepara un'emulsione, bevanda gradevole sedativa nelle malattie flogistiche. Anche dalle amare si estrae un olio medicinale, che gela diffìcilmente, ma facilmente irrancidisce, lassativo, temperante nelle tossi, flogosi intestinali, stitichezza, nefrite, renella; serve pure alla confezione di diversi looch kermatizzati, balsamici, anodini. Esternamente l'olio di màndorle giova nelle dermatosi pruriginose, rigidità muscolari e tumori glandulosi. La sede principale del sapore amaro delle màndorle amare, è nella loro pellicola gialla, che è micidiale alle bestie e possiede anche qualità deleterie per l'uomo, indigesta in dosi maggiori, perchè contiene acido idrocianico, che distrugge rapidamente l'irritabilità e la facoltà sensitiva. Nondimeno, pochissime màndorle amare, corroborano lo stomaco, provocano l'appetito e sono credute vermifughe e febbrifughe. Antidoto contro il loro avvelenamento è l'ammoniaca e l'alcool — gli stimoli interni ed esterni. La polpa o pasta e la farina delle amare ridotta a cataplasma giova esternamente nelle nevralgie, coliche, nefrite, ecc. Con tale pasta si toglie pure qualunque ribelle ed inveterato odore ai vasi, sfregandoli internamente. Col guscio secco e sminuzzato delle dolci si confeziona un'emulsione teiforme che oltre al grato sapore, à una fragranza balsamica di violette e di vaniglia. Sull'origine del mandorlo, la tradizione greca racconta che Fillide, figlia di Licurgo, re di Tracia, era promessa a Demofoonte, figlio di Teseo. Ma essendo già state fatte le pubblicazioni e vedendo, come il suo promesso sposo non compariva, si impiccò e fu da quei bonissimi dèi cambiata in màndorlo. Demofonte, che aveva perduta la corsa, venne e versò amare lacrime su quell'albero, e fu sotto la pioggia di quel pianto che il màndorlo cominciò a mettere foglie e frutti — amari prima, dolci poi, essendosi Demofoonte finalmente consolato. La màndorla da Plinio venne chiamata noce greca. Ma in Italia, prima di Catone, nessuno ne à parlato, ed ancora lo confusero colle noci. Fu dopo le crociate che la màndorla cominciò ad avere fama e che si trovò di comporne ghiottonerie culinarie. Palladio ci tramanda che i Greci, divinando le macchine a vapore del Sonzogno, si servivano della mandorla come mezzo di pubblicazione. Ecco cosa dice:
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. Le màndorle migliori sono quelle di Spagna. Le dolci contengono molto olio fisso, 55 0[0, ed un principio di emulsina molto carico di azoto. La
à frutto più grosso e tondeggiante, di sapore meno marcato e meno ricca d'olio. Nel linguaggio delle piante: Pace, riconciliazione. La maturanza della nocciola è riconoscibile quando l'involucro di essa prende un color giallo. Per conservarla sana per molto tempo, si mette nella crusca o segatura di legno. Per estrarne l'olio non si deve aspettar molto tempo, perchè si guasta presto. Se ne mangia il frutto fresco e secco, che è gustoso, ma indigesto, disturba la digestione, e in quantità ingombra i visceri. È ghiottoneria dei ragazzi, bisogna masticarla bene, e secca è meno digeribile. Dice un proverbio: Chi mangia nocciole, il capo gli duole. I confetturieri la coprono di zuccaro, l'abbrustoliscono. L'olio che se ne estrae è dei migliori ed è utile per tossi, linimenti, reumi, purghe, ecc., ed il tortello residuo serve a fare una pasta preferibile a quella delle màndorle comuni. Il legno pieghevole del nocciolo somministra ai bottai ottimi cerchi per tinozze e barili, ai canestrai verghette flessibili per mille industriosi ripieghi, abbruciato, dà un foco dolce, carbone per disegno ed eccellente per fabbricare polvere pirica. In S. Pietro di Roma, i penitenzieri, nelle grandi circostanze di feste, giubilei, indulgenze, ecc., danno l'assoluzione ai penitenti inginocchiati davanti al confessionale, toccando loro le spalle con bacchette di nocciolo. La bacchetta di nocciolo era indispensabile nelle arti divinatorie, era la bacchetta dei maghi, come dopo, fu quella dei maestri della dottrina cristiana nelle chiese, degli elementari nelle scuole e dei professori di Seminario, tanto che la niscioeula è pei milanesi sinonimo di bacchetta. Nè voglio dimenticare i caporali austriaci, che prima del 1848, la portavano al fianco colla sciabola, e l'adoperavano per il bankheraus, onde: mollaj gió secch come i niscioeur. E che
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della nocciola è riconoscibile quando l'involucro di essa prende un color giallo. Per conservarla sana per molto tempo, si mette nella crusca o segatura
(Deut., 24, 20): Galeno insegnava a mangiare le olive col pane, e fino dal tempo di Paolo Egineta mettevano appetito e si mangiavano per antipasto. Erano molto ricercate e ghiotte quelle condite con aceto od oximele, che era una salsetta piccante fatta di aceto, miele e acqua marina. Celebri una volta quelle di Spagna e da noi quelle di Ascoli. Le grosse, spogliate prima, mediante liscivia, del principio amaro, si conservano in salamoia e si usano ancora a stuzzicare l'appetito per antipasto e condimenti diversi. Sono migliori se appena colte verdi si schiacciano, si toglie loro il nocciolo, si pongono in bagno di acqua per tre giorni, cambiando ogni giorno l'acqua, e finalmente si coprono con forte salamoia aromatizzata. Queste ulive non durano più di un mese, ma sono ghiottissime e si mangiano tali e quali sono, o si condiscono a foggia d'insalata. Orazio, in uno dei suoi accessi d'amore per l'aurea mediocrità, non desiderava altra cosa, per esser felice, che un po' di olive, di cicoria e di malva:
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. Erano molto ricercate e ghiotte quelle condite con aceto od oximele, che era una salsetta piccante fatta di aceto, miele e acqua marina. Celebri una
La Pastinacca, dal latino pastus, nutrimento, per le sue qualità alimentari, è una radice che somiglia alla carota, carnosa, bianchiccia, aromatica, biennale. I semi producono solo 2 anni. Si semina in marzo, aprile, maggio, in terreno sostanzioso e lavorato profondamente. Ama essere innaffiata d' estate. Si conserva benissimo anche in terra, non teme il gelo. Fiorisce nel luglio ed agosto del secondo anno che è stata seminata. Cresce naturalmente nei prati, nei pascoli e tappeti erbosi. Si coltiva negli orti ad alimento. Nel linguaggio delle piante: Sei pazzo. In Italia è poco coltivata. La radice grossa della pastinacca coltivata è saporitissima, si usa cotta in minestra, accomodata col burro ed in insalata. Oltre le radici che sono molto nutritive, si mangiano pure le foglie che sono assai bone ed aromatiche. Mèrat dice:
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molto nutritive, si mangiano pure le foglie che sono assai bone ed aromatiche. Mèrat dice:
rossa di patate. Un pasticcio, frittura, fritelline, gateau, formaggio di patate, confetti, biscottini, una crostata, una schiacciata, poi caffè di patate. Gordon, in China, à vissuto molto tempo a sole patate. Dalla sua fermentazione se ne cava un'acquavite nociva, che ubbriaca ed abbrutisce i poveri Irlandesi e gli schiavi dell'America. Colla patata si fa birra. Ridotta a fecola, assurge poi alle maggiori dignità chimiche ed industriali. Diventa siroppo zuccherino, saldo per appretto ai tessuti ed alle lingerie, dà consistenza alla carta di lusso; entra dappertutto, infine, ed ogni giorno che passa segna una nuova applicazione scientifica ed industriale del prezioso tubero.
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patate. Gordon, in China, à vissuto molto tempo a sole patate. Dalla sua fermentazione se ne cava un'acquavite nociva, che ubbriaca ed abbrutisce i
Se ne fa farina e pane misto a frumento. La si mangia sola, lessata, o cotta sotto la cenere. La patata si coce in mezz'ora. Non lasciarla, lavandola, molto nell'acqua, altrimenti diviene molle e pesante, e perde la farinosità. Meglio cocerla a vapore in 35 o 40 minuti, pelarla subito e servirla in piatto scoperto. Si deve sempre farla cocere nella sua pelle onde conservi il suo sale di potassa e tutto il suo sapore, nè dovrebbesi tagliarla con lama di ferro. In cucina serve in mille modi, a tavola fa capolino in tutte le vivande, in tutti i piatti; caccia il naso persino nella pasticceria. La patata è il pane degli Inglesi. Non si può immaginare Svizzera senza kartoffeln. La cucina tedesca è basata sulla patata. Non c'è brodo, minestra, intingolo o vivanda ove la patata non ne sia il principale costituente. Ogni città, ogni borgata le dà nomignoli particolari di tenerezza: Tüfken, Töffelken, Toffein, Tartuffein, Erdtuffeln, Erdäppel, Erdbirnen, Grundbirnen, Erdboknen, Batalen, Patatos, Potatos, Kartoffeln, Oebiswarzel, ecc. Se non ci fosse la patata bisognerebbe inventarla per loro.
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, molto nell'acqua, altrimenti diviene molle e pesante, e perde la farinosità. Meglio cocerla a vapore in 35 o 40 minuti, pelarla subito e servirla in
Alla patata si può accoppiare il pero di terra (Heliantus tuberosus), detta pure patata americana, tartufo bianco, tartufo di canna. Franc.: Topinanbour, poir de terre, du Bresil; Ted.: Endbirn; Ingl.: Jerusalem artichoke. Radice tuberosa, simile alla pianta del girasole, con fiori gialli in settembre ed ottobre, originaria del Brasile e del Messico. Nel linguaggio dei fiori: Adorazione, falsa ricchezza. Vuol terreno ricco, si propaga, dividendone le radici in primavera. Resiste al freddo e venne coltivato in Europa prima della patata, e non è farinaceo come questa, si può lasciarla in terra anche l'inverno e lo si raccoglie al bisogno. Si usa fresco, e lavato va messo subito nell'acqua fresca, perchè non perda il suo colore. Lo si coce, gettandolo in acqua bollente e salata, in 30 o 40 minuti. Troppo cotto diventa duro e legnoso. Lo si condisce con salse, lo si frigge impannato, lo si fa in guazzetto, in insalata, ma è molto più indigesto della patata. Si vuole che l'Haliantus tuberosus possegga una particolare attività depurativa dell'aria ed aspiri una grande quantità di ossigeno a guisa dell'Eucalyptus.
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fa in guazzetto, in insalata, ma è molto più indigesto della patata. Si vuole che l'Haliantus tuberosus possegga una particolare attività depurativa
Il pepe serve a calmare i dolori di un dente cariato, purchè tocchi il nervo dentale. Una volta il popolo chiamava il pepe: grani di paradiso. In un manoscritto del secolo V, tradotto da Sim, si trova che il pepe in quel tempo si credeva rimedio sicuro per l'idrofobia, distinta col vero suo nome di lissa. Il pepe fu, per molto tempo, il principale oggetto del commercio dell'Europa coll'India. Fino dalla più remota antichità era droga molto in uso e tenuta in conto di cosa preziosa. Al tempo di Plinio si vendeva a peso d' oro e d' argento — abbiamo ancora il proverbio: caro come il pepe, il che allude al valore che una volta aveva. Il pepe serviva di imposta ai vinti, come oggi i miliardi. Ebbe l'onore di servire di riscatto a Roma e nel medio evo ancora, col pepe si pagavano molti tributi e molte imposte. Il pepe anticamente veniva adoperato nelle febbri intermittenti, è stato abbandonato da che fu scoperta la china. Ma è pure un rimedio efficace e pronto, che offre il vantaggio d'una spesa insignificante. Vuol essere amministrato in grani interi. Se ne prendono dapprima sei grani due volte al giorno, indi si va ascendendo fino a nove grani per volta. Al secondo o terzo accesso la febbre è troncata. Rare volte nella terzana si arriva ai cento grani: nella quartana, fa duopo salire fino ai tre e quattrocento, ma si conosce la difficoltà di curare queste febbri, anche colla china. Proverbi sul pepe:
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lissa. Il pepe fu, per molto tempo, il principale oggetto del commercio dell'Europa coll'India. Fino dalla più remota antichità era droga molto in
Modo di conservare le pera. — Scegliete sull'albero le più belle e tagliate loro il gambo colla forbice più alto che potete. Indi fate cadere sul taglio del gambo una goccia di ceralacca e annodate intorno ad esso gambo uno spago a cappio, per appendere poi le pere. Pigliate tanti fogli di carta bianca consistente quante sono le pera che volete conservare. Ravvolgete e chiudete con gomma ciascun foglio, in guisa da farne tanti cartocci, a cui lascerete un piccolo buco sulla punta. Introducete lo spago d'ogni pera nel buco di un cartoccio, in modo che esse rimangano entro i detti cartocci. E finalmente chiudete così la punta come la bocca di ciascun cartoccio incerando, in modo che non possa penetrarvi l'aria. Così preparate, appendete la pera, per il loro spago, a tanti chiodi e le conserverete per molto tempo, se le terrete in luogo asciutto e temperato.
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pera, per il loro spago, a tanti chiodi e le conserverete per molto tempo, se le terrete in luogo asciutto e temperato.
È saporitissima, salubre, profumata, di facile digestione, si mangia fresca e si fa seccare per l'inverno, e allora si chiamano da noi veggitt. I cuochi ne fanno fritture, polpettine, persicata, sorbetti, marmellate. Il loro delicato aroma è si sfuggevole che invano si tenta fissarlo completamente nelle conserve, nei liquori. In America, dove molto abbonda, se ne fa eccellente acquavita. I nostri vecchi dicevano, che del persico tutto va mangiato fuorchè il duro dell'osso.
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nelle conserve, nei liquori. In America, dove molto abbonda, se ne fa eccellente acquavita. I nostri vecchi dicevano, che del persico tutto va
Ma invece pare che il primo sia stato un certo Adamo, consorte legittimo della signora Eva, che prima ancora di quell'ubbriacone di Bacco, lo volle mordere co' suoi candidi dentini. Può considerarsi maturo quando incomincia a tingersi in giallo, mandare un po' della sua fragranza e a cadere spontaneamente; indizio più sicuro è il colore nero de' suoi acini. Il raccolto è da farsi in giorno sereno, quando sia scomparsa la rugiada. Quelli che cadono avanti tempo, bisogna consumarli subito, facendoli cocere. Per conservarli freschi, importa raccoglierli a mano, senza strapparli. Importa pure separare i frutti che casualmente cadessero sul terreno, perchè presto si guasterebbero e guasterebbero gli altri. Nell'inverno gelano facilmente. Se le disgelate al fuoco, perdono: lasciate che disgelino con comodo o ponetele nell'aqua molto fredda, ma non ghiacciata; facendola intepidire a poco a poco, anche
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disgelate al fuoco, perdono: lasciate che disgelino con comodo o ponetele nell'aqua molto fredda, ma non ghiacciata; facendola intepidire a poco a
allora acquista un gusto molto aggradevole. Cotonea cocta soaviora, disse Plinio. Gli antichi lo tenevano molto in pregio e volevano che esistesse nei giardini delle Esperidi: Afferunt quidam, in Lybia in Hesperidam hortis mala aurea a terribili dracone asservari. Difatti il condottiero della spedizione degli Arconauti, raffigurato nell'Ercole Farnese, à fra le mani tre pomi cotogni. Onde Properzio:
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allora acquista un gusto molto aggradevole. Cotonea cocta soaviora, disse Plinio. Gli antichi lo tenevano molto in pregio e volevano che esistesse
Solone aveva ordinato che alla mensa delle nozze fossero apprestati dei pomi cotogni, agli sposi. Questo frutto non dura molto. Si candisce, se ne fa sciroppo ed una pasta nota sotto il nome di cotognata, chiamata dal Palladio Cydonitem, e di uso volgare nelle affezioni catarrali di petto. Entra nella mostarda. Un buon credenziere li serve in mille maniere, li coce nell'aqua, nel vino, li abbrustolisce sotto la cenere, ne fa torte, pasticci ed offelle. À virtù astringente. Da' suoi semi ovali, accuminati, se ne cava una mucilagine che, Pareira, chiamò cidonina, che la medicina adopera internamente a mitigare i dolori delle fauci e dell'esofago, prodotti da qualche acre, corrodente sostanza; esternamente, a modo di colirio nelle infiammazioni delle palpebre congiuntive; questa mucilagine à virtù analoghe alla glicerina. I parucchieri la vendono molto cara, sotto il nome di bandoline per lisciare e fissare i capelli. Teofrasto e Plinio ne parlano coll'aquolina in bocca; anzi, Plinio insegna a cocerli nel miele, Galeno e Paolo Egineta lo magnificano come migliore delle poma, e non solo gli decretano summam auctoritatem in mensis, et culinis, ma anche come medicamentum.
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Solone aveva ordinato che alla mensa delle nozze fossero apprestati dei pomi cotogni, agli sposi. Questo frutto non dura molto. Si candisce, se ne fa
Pianticella annua conosciutissima, originaria dall'America Meridionale, e venuta tardi in Italia. La sua propagazione in Europa non conta più di due secoli. Cento anni fa era appena conosciuta da noi. Non à quindi storia nè greca nè romana. Vuol terreno lavorato, piuttosto asciutto, non tanto pingue e molto soleggiato.
Il popone, volgarmente detto melon, è una pianta erbacea, annua, indigena, originaria dall'Asia. Depone, dal greco pepo, che significa maturo. Vuol terreno sciolto, lavorato profondamente, grasso, fresco. Per la coltura forzata, si semina su letto caldo in gennaio, febbraio, marzo: solo in aprile e maggio all'aperto si trapianta. Ama la mezz'ombra e la pulitezza, il troppo umido gli è dannoso. Si svetta, a farlo più prolifico e ad impedirne una soverchia vegetazione. I semi del popone germinano fino ai 5 anni. È maturo quando il suo peduncolo è corto, grosso, à sapore amarognolo, e quando il frutto è pesante e resistente alla pressione. L'odore non deve essere molto pronunciato. La troppa sonorità del frutto, battuto colle dita, è indizio d'immaturità. Il distico seguente ve lo insegna:
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frutto è pesante e resistente alla pressione. L'odore non deve essere molto pronunciato. La troppa sonorità del frutto, battuto colle dita, è indizio
così eccellente e che trovano preferibile al medesimo. E gli Olandesi facevano incetta in Europa della salvia per venderla carissima ai Chinesi e Giapponesi. La specie sclarea si adopera per dare il sapore moscato agresto ai gelati e ad alcuni vini. Un proverbio popolare dice: Se vuoi molto campare la salvia ài da mangiare.
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Giapponesi. La specie sclarea si adopera per dare il sapore moscato agresto ai gelati e ad alcuni vini. Un proverbio popolare dice: Se vuoi molto campare
L'uva è il frutto della vitis fructifera, frutice perenne arrampicante, che può elevarsi a grande altezza e sostenersi, à foglia caduca, indigeno, originario incontestabilmente dei climi caldi, come tutti i frutti dolci. Non viene dovunque, nè dovunque produce bon frutto. Al piano l'uva rossa non matura bene al di là del 47° grado di latitudine, e la bianca del 49°, nè si eleva oltre i 600 metri. Vuole esposizione meridiana, teme l'umido soverchio, i continui venti, il freddo, le brine. Ama terreno sciolto, calcareo, argilloso, il terziario. Si propaga per seme, margotte, innesto, ma più comunemente per gemme. Numerose le sue varietà r essendo coltivata da molto tempo ed in condizioni svariatissime, sicchè lo stesso Virgilio ebbe a dire:
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comunemente per gemme. Numerose le sue varietà r essendo coltivata da molto tempo ed in condizioni svariatissime, sicchè lo stesso Virgilio ebbe a dire:
) per un tempo prolungato, onde possa produrre salutari modificazioni nell'organismo. Essa ingrassa, è sostanza nutriente, riconfortante nell'atonia-languore del ventricolo, nella gastrorrea, conviene nella pletorrea addominale, calma l'irritazione degli organi respiratori, mitiga la tosse, facilita l'espettorazione ed è indicata nella tubercolosi. La cura dell'uva si schiera più simpatica, e fors'anche più sicura a fianco di quelle delle tante aque minerali, del siero e dell'olio di fegato di merluzzo. Questa cura è in favore più all'estero che da noi. Si fa sistematicamente ed in grande in Germania, a Durkheim, Glesweiter nel Palatinato, Bingen, Creuznach, Rudesheim ed in generale sulle sponde del Reno da Mainz a Coblenz — in Slesia a Grümberg — in Tirolo a Merano — in Svizzera a Vevey, Montreux, Aigle, ecc. Al tempo della vendemmia i bagni, o a meglio dire le fangature di vinaccie, sono di uso molto popolare nelle nevralgie, paralisi, reumatiche, affezioni nevralgiche, ecc. Dall'uva e dal vino, mercè una fermentazione acida, se ne cava pure aceto, il più galantuomo degli aceti. Più sotto ne do qualche ricetta.
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, sono di uso molto popolare nelle nevralgie, paralisi, reumatiche, affezioni nevralgiche, ecc. Dall'uva e dal vino, mercè una fermentazione acida, se ne
Si conoscono diversi modi più o meno ingegnosi per conservare l'uva. Il più semplice è quello di torcere il peduncolo del grappolo sulla stessa vite e chiudere il grappolo in un sacchetto di carta o di tela. Si sospendono anche i grappoli in una camera asciutta ad una cordicella e per la parte inferiore, onde gli acini si tocchino fra loro per la minore superficie possibile. Si conserva pure essiccata al sole o al forno. Le uve passe sono per condimento di cibi, per preparazioni di sciroppi e bevande. Se ne fa principalmente commercio in Calabria, Egitto, Isole Jonie, Morea, Provenza. Vi si adoperano varietà di uve grosse di collina, carnose e molto zuccherine. Quando è matura, si spampina la vite, affinchè il sole la maturi largamente. Allora si raccoglie, si pulisce, si tuffa per alcuni istanti "in una bollente liscivia di cenere e calce concentrata a 12,15 gradi dell'areometro. Gli acini cominciano ad avvizzire, lasciansi sgocciolare, e stendonsi sopra graticci che si espongono al sole in tempo asciutto per 15 o 20 giorni. Eccellenti le uve passe di Malaga, conservate in grappoli e la Sultana d'Egitto. In generale però le secche di Spagna sono male preparate. Le uve di Damasco anno un profumo delizioso ed i grani molto zuccherini e senza vinaccioli. Le uve passe finalmente, da noi dette Zibette e dai Francesi uve di Corinto, provengono dall' Isola di Zante e di Lipari, sono senza craspi, in piccoli granelli rossi, molto compressi, grossi come le nostre uve spine (Ribes). Il loro gusto acidulo, la loro delicatezza, le rendono molto utili per certe vivande, per uso medico, e finalmente per farne alcuni vini. Queste si fanno soltanto seccare al sole, senz'altra cura stendendole per terra. Quel sole là, basta da sè ad essiccarle, senz'altro metodo più complicato. A Marsiglia s'adopera uva moscata a sofisticare quella di Malaga, e la preparano con un processo simile a quello che si usa in Provenza. Trecento chilogrammi d' uva fresca ne danno circa cento di quella secca.
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adoperano varietà di uve grosse di collina, carnose e molto zuccherine. Quando è matura, si spampina la vite, affinchè il sole la maturi largamente
La parola zafferano è d'origine araba. Lo zafferano è pianta perenne, bulbosa, originaria dell'Asia Minore, dove è indigena. I suoi fiori, che dà in autunno sono ordinariamente di un colore violetto porporino, gli stimmi di un rosso aurora molto odorosi. Nel linguaggio dei fiori: Sfacciataggine. Ama terreno asciutto, forte, ben esposto e sostanzioso. Si raccolgono i fiori per levarne i pistilli rossi fragrantissimi. Si moltiplica per bulbilli, che formansi tutti gli anni attorno al bulbo madre, e si piantano in agosto. Varietà: il Crocus vernus, il Crocus multiflorus e lungiflorus, che nasce selvaggio in Sicilia. Coltivasi un di presso come l'aglio e le cipolle. Vegeta anche nel nord, ma teme i freddi rigorosi, e perisce sotto il 15°. Lo zafferano à sapore piccante ed amaro, odore forte particolare. Il suo nome crocus, da crochè, filo, per gli stilli filiformi che costituiscono il suo fiore.
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autunno sono ordinariamente di un colore violetto porporino, gli stimmi di un rosso aurora molto odorosi. Nel linguaggio dei fiori: Sfacciataggine
Spagnoli. Pier d' Atienza lo piantò nel 1520 presso Concezion della Vega e già nel 1553 il Messico ne produce tanto da fornirne il Perù e la Spagna. Gonzalo di Velosa vi costruì i primi cilindri. Il consumo si estese man mano in Europa, finchè, propagatosi l'uso del caffè, del the e della cioccolatta, lo zuccaro divenne indispensabile quanto il sale. Ciò rovinò il commercio del miele, fino allora vivissimo. Il raffinamento dello zuccaro fu inventato da un veneziano nel secolo XVII. Ed ora lo zuccaro è articolo di prima necessità anche pel povero. Entra padrone assoluto nella pasticceria, nella cucina, nella cantina, nella farmacia. È sano, facilita la digestione, riscalda ed ingrassa, è utile alla salute dei bambini. I dolci fanno loro male, non per lo zuccaro, ma per la farina e gli altri ingredienti. Zuccaro non guasta mai vivanda, dice il proverbio. Lo zuccaro è la più dolce, innocente e proficua delle produzioni vegetali, fu ed è molto calunniato, ed è una viltà abusare della sua bontà, perchè non avendo fiele, non può far vendetta.
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, innocente e proficua delle produzioni vegetali, fu ed è molto calunniato, ed è una viltà abusare della sua bontà, perchè non avendo fiele, non può far